RAF VALLONE(1916 - 2002)

Scene filn Raf Vallone
Raffaele Vallone, più noto come Raf Vallone (Tropea, 17 febbraio 1916 – Roma, 31 ottobre 2002), è stato un grande attore, di cinema e di teatro calciatore, giornalista e partigiano.
Raf Vallone racconta un periodo della sua vita:
"D
opo l’8 settembre entro in contatto con "Giustizia e Libertà" tramite uno dei comandanti, Vincenzo Ciaffi, latinista appassionato di filosofia e di teatro, colto, coraggioso, forte, un uomo eccezionale. Ero militare a Tortona, e Ciaffi mi incarica di individuare e mettermi in contatto con altri antifascisti. Divento amico del soldato Bernieri, che dopo la guerra sarà eletto in parlamento nelle liste PCI. In segno d’intesa gli passo un libro, Nuova York di Dos Passos, con una frase in codice: “Abbiamo gli stessi interessi, credo che questo romanzo ti piacerà”. Ci scoprono. Mi convocano e mi sbattono in faccia il libro con il messaggio. Pochi mesi dopo vengo arrestato e portato a Como. In una palestra adibita a carcere entra un repubblichino a interrogarmi. Scelgo di dire la verità: confesserò di essere antifascista: tacerò i nomi del compagni. Tra me e il repubblichino si crea uno strano rapporto di complicità. "Domani verranno a prenderla" mi avverte. "La devono portare in Germania, in un campo di concentramento. Con lei ci sarà un solo agente. La sua rivoltella non sarà carica. Veda lei".
Riesco a scappare, gettandomi vestito nel lago di Como. Era marzo, e l’acqua era molto fredda. Ho poi tentato di rintracciare quel repubblichino, senza riuscirci. Molti anni dopo, facevo già l’attore, stavo sciando a Sestrière con mia moglie e i miei tre figli, quando, sulle piste del Banchetta, un gruppo di turisti mi riconosce e si avvicina. Credevo fossero ammiratori che avevano visto Riso amaro. E in effetti si congratularono, ma non per il film, per la mia fuga di Como. "Noi la conosciamo, l’abbiamo vista gettarsi nel lago, con le SS che sparavano dalla riva...". Da allora i miei figli non hanno più potuto prendermi in giro per i miei racconti.
Dopo la fuga torno a Torino, e Ciaffi mi affida un altro incarico delicato: fare propaganda, in vista dell’occupazione partigiana della Rai, tra i tecnici della radio repubblichina, alla Mole Antonelliana, dove andavo a leggere poesie. Riesco a contattarne qualcuno, nonostante la prudenza e la paura che li frenava. Allora Ciaffi mi dice di leggere alla radio poesie di Montale, per diffondere un segnale culturale e politico che la stagione nazifascista sta per finire.
Fu un amico che aveva letto le mie critiche teatrali a presentarmi a Davide Lajolo, che chiamavamo con il nome da partigiano, Ulisse. Così io, azionista, cominciai a lavorare per il giornale dei comunisti. Ulisse era unico per simpatia e carattere. Godeva di grande prestigio tra i partigiani, e me ne accorsi quando sulle Langhe ripresero le armi. Lajolo partì per Alba, su incarico di Nenni, che era ministro degli Esteri. Io vado con lui, su una vecchia Balilla. Appena arrivati ci tirano fuori dalla macchina, ci prendono a calci in culo e fanno per metterci al muro. Ulisse comincia a spiegarsi, con le mani in alto, e più parla più li convince. Ci lasciano andare e corriamo a Torino, in tempo per titolare l’edizione straordinaria dell’Unità: I partigiani depongono le armi. 

LE SUE CENERI RIPOSANO NEl CIMITERO DI TROPEA,SUA CITTà NATALE,IN CALABRIA.